Ad un mese dall’inizio dei nostri collettivi ‘arresti domiciliari’, mentre il protrarsi della situazione risulta sempre più indefinito, torna incredibilmente attuale l’incontro con lo psichiatra, neurologo e filosofo viennese V. Frankl (1905-1997).
V. Frankl fece infatti tesoro della propria esperienza di deportazione ad Auschwitz nel proporre un approccio di cura, chiamato logoterapia, secondo cui una persona per vivere pienamente deve soddisfare la propria volontà di senso, ovvero perseguire e realizzare scopi e valori capaci di dare significato alla propria esistenza.
La scoperta che Frankl ci consegna nell’opera Uno psicologo nei Lager è quella secondo cui “la vita conserva il suo senso anche in un campo di concentramento, quando non offre quasi più nessuna prospettiva di realizzare dei valori, creandoli o godendoli, ma lascia solamente un’ultima possibilità di comportamento moralmente valido, proprio nel modo in cui l’uomo si atteggia di fronte alla limitazione del suo essere.”
Grazie a questa prospettiva alla persona è quindi sempre garantito un margine di libertà indipendentemente dalla condizione che si trova a vivere, fosse anche solo nel poter stare con dignità all’interno della stessa.
Per questo l’esercizio proposto oggi è un esercizio filosofico modulato dalla letteratura logoterapeutica, in particolare dagli spunti del prof. M. d’Angelo, che invita a riscoprire le proprie risorse anche nelle situazioni limite.
Esercizio: “I miei lager”
L’esercizio può essere praticato avendo come guida le seguenti domande alle quali rispondere verbalmente o in forma scritta:
- Qual è il mio “lager”? Ovvero, qual è il mio destino, cioè il lager inevitabile nel quale mi trovo?
- E qual è IN esso il mio compito? Ovvero quali sono in esso le mete e i valori che posso realizzare rendendo la mia vita comunque degna di essere vissuta?
- In che modo riesco a guardare avanti e continuare a sognare?
Buon lavoro filosofico!